La Verona che non c’è più: i negozi del centro spariti con le griffe dei butei degli anni ’70

Alla scoperta della Verona che non c’è più: i negozi del centro spariti e le griffe dei butei degli anni ’70.

Della Verona che non c’è più, fanno parte quei negozi storici del centro storico custodi di memorie intramontabili che costituiscono un patrimonio inestimabile per Verona. Questi luoghi non erano semplici esercizi commerciali, ma veri e propri simboli di identità e tradizione locale. Le loro vetrine che una volta animavano le strade, offrivano non solo merci, ma anche un punto di incontro e di scambio “amichevole” per la comunità.

Nel corso degli anni, molti di questi negozi hanno chiuso i battenti, vittime delle trasformazioni economiche, sociali e culturali. Pur essendo scomparsi fisicamente, il loro valore e la loro eredità continuano a vivere nel tessuto stesso delle città, evocando ricordi e emozioni di un tempo passato.

Ti ricordi…?

Anche negli anni ’70 a Verona, gli adolescenti avevano le loro tendenze modaiole distintive. All’epoca si delineavano due correnti: i giovani di sinistra, affettuosamente chiamati “cinesi” e per lo più studenti del Fracastoro, e quelli di destra, noti come i “butei” del Bauli (il bar di fronte a piazza Vittorio Veneto) o del Motta (il bar all’angolo di via Mazzini, di fronte all’Arena). Questi erano per lo più studenti dell’Aleardo Aleardi presieduta dal mitico “Baffo” Nalin.

Come eravamo.

Mentre i primi indossavano eskimo, scarpe Clarks (i desert boot che hanno fatto la storia dei movimenti studenteschi del ’68), e si spostavano con una 2 Cavalli Citroën, i secondi che giravano con il “Ciao” o il “Solex” preferivano Ray-Ban, stivaletti colore “rosso sangue di bue” Peter Flowers, loden verde comprato al Duca d’Aosta e jeans Fiorucci così aderenti da risultare causa di infiammazioni urogenitali (e non è uno scherzo). I ragazzi dei gruppi di lotta continua e lotta comunista, si andavano a vestire rigorosamente da Basevi, un negozio di jeans e abbigliamento aperto nel 1924 come sartoria, che originariamente vendeva solo abiti militari o da lavoro.

Tra proteste, discussioni, scioperi e manifestazioni, un interesse comune univa i ragazzi delle due fazioni politiche: lo sci. Ogni sabato mattina, partivano in pullman verso San Giorgio per sciare e divertirsi. Il punto di riferimento per gli acquisti era il mitico Faraoni Sport, situato tra via Sottoriva e via Ponte Pietra, che vendeva tutti i tipi e le marche di sci, scarponi, attacchi, Moonboot, insomma tutto ciò che riguardava lo sci a 360 gradi. Inoltre organizzava le “uscite” sciistiche del sabato mattina. Partenza alle 6 dai giardini di San Giorgio – Lombroso a Verona (lato chiesa) e lì ci volevamo tutti bene. In quella giornata l’unico colore era il bianco, quello della neve.

La spesa in “piassa” e la rosetta con la “bondola”.

Negli anni ’60-’70, era consuetudine fare la spesa in piazza delle Erbe. I banchi non vendevano souvenir ma frutta, verdura, fiori e generi alimentari di ogni tipo. Era un’esperienza vivace e familiare, dove si scambiavano battute e chiacchiere mentre si faceva la spesa.

Un’altra tappa obbligatoria prima di arrivare in piazza Erbe era la drogheria Ferrario, in corso Santa Anastasia all’angolo con via Rosa. Era famosa per il caffè macinato al momento e la vasta selezione di prodotti: dalle spezie ai surrogati di caffè, dai prodotti per togliere tutte le macchie, alle colle per ogni esigenza. Anche se Ferrario non esiste più, l’insegna storica è stata conservata dai proprietari dei locali, testimone di un’epoca passata.

Dopo lo “slalom” per fare la spesa in piazza delle Erbe, veniva un certo languorino. Tappa obbligatoria: il panificio in via Stella, dove si potevano gustare le rosettine “piccole” calde con la mortadella affettata al momento. Che bontà.

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