Non più sportivi ma macchine da soldi: e i calciatori si ribellano

Il calcio è tutta questione di performance dei giocatori? Purtroppo, sembra di no, soprattutto se questi stessi talenti del pallone sono spremuti fino al midollo. Se poi l’obiettivo delle società non è esclusivamente quello di raggiungere la prestazione migliore, ma il più alto ricavo dalle partite in gioco, allora è evidente la presenza di un problema.

Cosa si nasconde dietro il campo di calcio?

Il calcio non è solo questione di calcio. Dietro il prato verde che fa da teatro ai match più appassionanti, si nascondono spesso interessi di vario tipo. Molti di questi non sono di natura esclusivamente sportiva, ma si confondono con il denaro, legato a sua volta al meccanismo delle dirette televisive e degli sponsor.

Questi sono due fonti di introiti non indifferenti per qualsiasi club calcistico. Le entrate legate a dirette e sponsor aumentano inoltre il loro valore man mano che le squadre sono più richieste e dunque si esibiscono in un numero crescente di partite. Se quest’ultimo punto potrebbe apparentemente giovare ai tifosi, la situazione reale è più complessa, e sta causando non poco malcontento tra i giocatori.

Una questione di performance

In apparenza, un numero maggiore di partite dovrebbe creare una varietà più alta di intrattenimento. I tifosi e gli appassionati delle quote potrebbero infatti trovarsi davanti molti più match da seguire e su cui scommettere, ma la vera questione riguarda la qualità di questi incontri, tanto per il pubblico quanto per i giocatori stessi. La stanchezza e le pressioni cui sono sottoposti i player, per mantenere l’elevato ritmo di gioco, hanno infatti delle ricadute dirette sulla qualità delle prestazioni. Questa, necessariamente, subisce un calo.

Se questo è vero in termini generali, l’attenzione delle associazioni sindacali calcistiche sta già cominciando a interessarsi e monitorare con particolare attenzione i periodi di punta, in cui competizioni nazionali, Mondiali ed europee si intrecciano. L’intreccio di match può portare a un impegno notevole per i giocatori, che vanno compiutamente incontro a un ritmo eccessivo.

Se alcuni studi parlano apertamente di un ritmo massimo di 60 partite a stagione, scandite da 5 giorni di recupero tra un match e l’altro, cui si sommerebbero i 14 giorni di riposo invernale e i massimo 42 del periodo estivo, la realtà dei fatti è molto diversa. Con alcuni calciatori che si apprestano a sforare la soglia di 70 partite, intervallate in alcuni casi da appesa 3 giorni di recupero, è chiaro che si sta passando ormai una sorta di limite: i calciatori ne sono consapevoli, e forse è tempo che anche tifosi, pubblico, sponsor e associazioni lo diventino.

I rischi per i giocatori

Aspettarsi che, con un calendario estremamente fitto di incontri, i calciatori riescano sempre a rendere al meglio è poco lungimirante. Forse, è anche poco umano. Sono i giocatori stessi che ormai reclamano la propria umanità, in termini fisici e mentali. Fisicamente, crampi e infortuni la dicono lunga su quanto i player rischino per la stanchezza. Sotto il profilo psicologico, oltre alla rabbia che ormai si sente da più parti, il pericolo concreto è quello di un burnout, che potrebbe a sua volta condurre a conseguenze deleterie per le squadre con i giocatori più provati.

Il disinteresse verso gli incontri in gioco e il desiderio di sganciarsi dai club più coinvolti potrebbero portare a serie emorragie nelle squadre maggiori, così come a cali di performance tali da comprometterne l’andamento nei campionati più seguiti. Stress fisico e pressioni psicologiche per il numero maggiore di leghe e incontri sono elementi che fino ad ora sono stati ignorati. I tifosi assistono a partite giocate da calciatori sempre più stanchi. È ormai evidente che seguire la propria squadra del cuore richiede adesso una preoccupazione più profonda. Da un lato, forse i tifosi dovrebbero rinunciare a vedere una partita ogni tre giorni. Dall’altro, le società che vendono diritti e cercano sponsor dovrebbero ricordarsi dell’umanità dei talenti in campo e allentare la presa, permettendo loro di riposare un po’ di più.

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