La Slc Cgil difende il lavoratore che ha mostrato la bandiera palestinese all’Arena di Verona: “Atto di coraggio”.
Durante l’Aida all’Arena di Verona, sullo schermo per i sovratitoli è apparsa, per alcuni istanti, la bandiera palestinese accompagnata dalla scritta “Stop Genocide”. Tutto questo nel pieno di una mobilitazione nazionale che, secondo i promotori, aveva “l’obiettivo di rompere il silenzio intorno al dramma che sta colpendo la popolazione palestinese“.
A intervenire sulla vicenda è stato Mario Lumastro, coordinatore della Slc Cgil di Verona, che ha definito il gesto “di grande coraggio” e ha espresso l’auspicio che “chi lo ha compiuto non venga sanzionato“.
Secondo quanto riportato dal sindacato, il messaggio sarebbe stato “l’iniziativa autonoma di un lavoratore della Fondazione Arena, che avrebbe voluto così esprimere solidarietà al popolo palestinese, denunciando il silenzio delle istituzioni e il disagio – per quella che viene da loro definita – la posizione ambigua del nostro Governo”. Il sindacato afferma di “condividere pienamente lo stato d’animo di chi ha compiuto il gesto, considerandolo un atto pacifico di dissenso“.
Lumastro ricorda che “alla mobilitazione nazionale, hanno preso parte anche professori d’orchestra, artisti del coro, tecnici e numerosi lavoratori e lavoratrici della Fondazione, dimostrando – a detta del sindacato – una forte sensibilità verso il conflitto in Medio Oriente”.
Nel comunicato, la Slc Cgil esprime preoccupazione “per le reazioni critiche arrivate nelle ore successive – e respinge – “l’idea che il gesto possa essere considerato esagerato -, sottolineando invece – la gravità della situazione a Gaza, dove – si legge – sono state uccise circa 55 mila persone, molte delle quali mentre cercavano cibo per sopravvivere”.
“Non possiamo restare indifferenti – si legge nella nota –. Quanto sta accadendo riguarda tutti noi. Il grido di aiuto del popolo palestinese non può più essere ignorato”.
Il sindacato conclude ribadendo “la necessità di gesti coraggiosi, anche simbolici, per non abituarci a considerare normali le guerre”.
