Forse non tutti sanno che… in Lessinia c’è un museo del ghiaccio

Inaugurato nel 1991, il museo ergologico di Cerro Veronese testimonia l’attività dei “giassaroi”.

Fin dall’antichità la montagna veronese fu punteggiata di grandi pozzi, nei quali si usava conservare il ghiaccio raccolto durante l’inverno nelle pozze attigue, riuscendo così a trasformare l’acqua per l’abbeveraggio del bestiame in una fonte di sopravvivenza ma anche in un’opportunità di guadagno. Già in un decreto del 1349, infatti, i Della Scala imposero agli abitanti lessinici di portare il ghiaccio a Verona, stipulando con loro accordi di vendita che privilegiassero il rifornimento alla città rispetto a Mantova e a quelle emiliane.

Il giacchio della Lessinia era difatti un prodotto molto richiesto che conobbe, all’inizio dell’Ottocento, un florido mercato, con una vigorosa attività di esportazione su tutto il suolo regionale e nazionale. Nella sola Lessinia centrale il catasto austriaco rilevò, nel 1845, 17 ghiacciaie, destinate a triplicarsi verso la fine del secolo, quando nel territorio cerrese si poterono contare una trentina di ghiacciaie. Il fenomeno testimonia il crescente fabbisogno di ghiaccio per la città e anche la buona redditività dell’”industria del freddo” che assicurava un reddito pari se non superiore a quello ricavato da un logo, equivalente a circa 25 campi veronesi.

Dopo più di un secolo, l’attività decrebbe e scomparì definitivamente nel secondo dopoguerra, soppiantato dal ghiaccio artificiale. Oggi dell’attività che interessava i lavoratori del ghiaccio, i cosiddetti “giassaroi”, non resta che qualche rarissima “giassara”, ovvero i pozzi adibiti alla conservazione del ghiaccio, e il ricordo nelle persone più anziane che l’hanno praticata.

Nel 1991 il Comune di Cerro Veronese, dove l’attività era maggiormente praticata, decise dunque di sottrarre all’oblio e all’abbandono uno degli ultimi pozzi, la Giassàra dei Carcerèri, dal nome della contrada in cui è situato, avviando un importante intervento di restauro. L’obiettivo del recupero del manufatto non fu solo quello di riportare alla luce un aspetto qualificante dell’economia montana ma anche di creare uno spazio che si prestasse come museo, atto a contenere mostre illustranti gli aspetti della vita e dei lavori della gente lessinica.

Nelle vicinanze si possono trovare anche la Giassàra e il Baito del Modesto, nel Comune di Roverè Veronese, e la Giassàra del Grietz, in quello di Bosco Chiesanuova.

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