“Salari da fame e pensioni da fame”: la denuncia di Spi Cgil Verona

Spi Cgil Verona sul salario minimo: “Futuro drammatico con pensioni sotto la soglia di povertà. Lottiamo per retribuzioni dignitose”.

I salari bassi di oggi si tradurranno inevitabilmente in pensioni da fame domani, queste le parole dello Spi Cgil Verona, intervenuto sul tema recentemente molto discusso del salario minimo: “La battaglia, sacrosanta, sul salario minimo sta portando alla luce un aspetto finora ancora troppo trascurato: l’assoluta necessità di garantire ai giovani attuali, futuri pensionati, assegni dignitosi“.

Di recente ne hanno preso atto anche i componenti del Consiglio nazionale dei giovani, organo consultivo della Presidenza del consiglio dei ministri, che in un ricerca pubblicata ai primi di agosto in collaborazione con Eures relativa alle retribuzioni dei 40enni lavoratori dipendenti nati nel 1984, hanno evidenziato come la prospettiva di una larghissima fetta della popolazione giovanile sia quella di andare in pensione nel 2053, a 70 anni, con un assegno di meno di mille euro nettile donne come sempre più penalizzate- per superare i quali dovrebbero restare al lavoro fino a 73,6 anni.

“Di qui la richiesta di una pensione di garanzia, proposta da sempre sostenuta dal sindacato, a carico della fiscalità generale, che intervenga ogni qual volta il trattamento pensionistico maturato con i soli contributi versati dovesse rivelarsi inadeguato a una condizione di vita dignitosa”.

Allo stesso risultato è sostanzialmente giunta anche una proiezione del maggio scorso fatta dalla Corte dei Conti su un campione di lavoratori dipendenti 40enni, dalla quale risulta che “solo gli addetti delle forze armate e delle sanità stanno accumulando un montante contributivo sufficiente a garantire un domani una pensione dignitosa. Nemmeno gli statali si salvano più. Non tutti, almeno”.

Il contributivo puro a Verona.

Sono questi gli effetti del contributivo puro, la riforma del sistema di calcolo delle pensioni avviata da Dini nel 1995 e portata a termine con Fornero nel 2012.

Gli effetti di tale sistema sugli importi degli assegni pensionistici sono già visibili anche nel veronese. Secondo i dati Inps relativi alle pensioni di vecchiaia e anzianità del settore privato vigenti in provincia di Verona nel 2023, l’assegno medio di un lavoratore dipendente andato in pensione con il contributivo puro è di appena 816,7 euro, vale a dire del 40% più leggero rispetto all’importo medio delle pensioni dell’insieme di tutti gli ex lavoratori dipendenti (1.349,79 euro). Le pensioni contributive pure sono ancora una piccola minoranza delle pensioni di vecchiaia o anzianità (in numero assoluto nel veronese sono 15.145 su un totale di 211.750 pensioni, pari al 7,1%) e sono ancora prevalentemente diffuse tra i lavoratori che vanno in pensione come parasubordinati ma sono in crescita del 18% rispetto al 2021, quando questo tipo di pensioni erano 12.825 e sono destinate a diventare maggioranza in tutti i settori nel corso del prossimo decennio.

Nel confronto del biennio 2023-2021 vediamo aumentare soprattutto le pensioni calcolate con il metodo misto di Dini, passate dalle 19.724 del 2021 alle 29.249 del 2023. Sembra rallentare il boom di uscite con il metodo di calcolo riforma Fornero (25.179 pensioni vigenti nel 2021 contro le 27.172 del 2023). Vanno, di converso, lentamente ma inesorabilmente scemando le pensioni retributive pure, che di fatto non esistono più: erano 153.313 nel 2021, oggi sono 140.184: un meno 8,4% in due anni.

“I giovani e le donne hanno la peggiore condizione dal punto di vista previdenziale”.

“L’aspetto pensionistico è l’altra faccia della battaglia del salario minimo perché è terreno ancora troppo poco considerato dalla politica pur avendo un peso rilevantissimo nella dignità e nell’autonomia di una persona”, commenta il segretario generale Spi Cgil Verona Adriano Filice. “Una strategia riformista e progressista dovrebbe portare avanti di pari passo tutti questi tre aspetti: salari, pensioni, servizi sociali. Retribuzioni e pensioni non si difendono se non si recupera l’enorme ritardo sulla sanità, sulla scuola e su tutti i servizi sociali che consentono di tenere insieme un disegno di società.

In questi giorni come sindacato rivendichiamo retribuzioni dignitose, il rinnovo dei contratti scaduti, una legge che misuri la rappresentanza, il recupero del potere d’acquisto di salari e pensioni, una pensione dignitosa per i giovani, misure per contrastare la crescente povertà, un salario minimo”, prosegue. “Per moltissime lavoratrici e lavoratori già oggi le analisi ci consegnano un futuro drammatico, con pensioni sotto la soglia di povertà. A ciò si aggiungono le rigidità della cosiddetta riforma Fornero che prevede un lunghissimo e continuativo versamento di previdenza.

Oltre ai lavoratori poveri oggi i più esposti a vera e propria povertà pensionistica sono i giovani, troppo spesso precari, occasionali, partita iva involontari, con buchi contributivi derivanti da periodi di disoccupazione. I giovani (ma anche le donne) oggi concentrano su di sé la peggiore condizione che si possa immaginare dal punto di vista previdenziale.

C’è da considerare che oltre a ciò, siamo in presenza di una sanità che non tutela più il cittadino, soprattutto le anziane e gli anziani. Per questo le retribuzioni, il salario, il lavoro riguardano anche il sindacato dei pensionati. Perché il lavoro di oggi costruisce la pensione del domani” conclude Filice.

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